Progetto di restauro Le colonne di San Nicolò
L’affresco di Santa Caterina d’Alessandria
I trevigiani associano immediatamente Santa Caterina all’immagine simbolo della città. Nel famosissimo affresco che la raffigura e del quale rimane purtroppo solo la parte superiore, la Santa tiene sulle mani, e sembra sostenerlo anche con il busto, un modello della città fortificata come forse si presentava nella seconda metà del Trecento. Oggi si può ammirare quello che rimane dell’affresco sulla parete a destra della navata dell’omonima chiesa sconsacrata che oggi è il più importante museo della città.
La chiesa e l’adiacente convento di Santa Maria furono costruiti dai Servi di Maria, uno dei grandi ordini mendicanti del basso medioevo, che si insediarono a Treviso a metà del Quattordicesimo secolo e dedicarono la loro chiesa a santa Caterina d’Alessandria. La santa venne allora raffigurata con il modellino della città e infatti è per tutti la santa Caterina di Treviso. Se desideriamo vedere la raffigurazione della santa con i segni del suo martirio e conoscere così la sua storia, dobbiamo spostarci nella chiesa conventuale dei Benedettini, in San Nicolò.
Caterina d’Alessandria, nata forse nel 287, morì nel 305 ad Alessandria d’Egitto, dove, secondo la tradizione, fu sottoposta a martirio con il supplizio della ruota dentata perché rifiutò di abiurare la fede in Cristo. Con il simbolo della ruota e del ramo di palma i domenicani di San Nicolò la vollero raffigurata sulla quarta colonna meridionale della navata della chiesa.
Come la santa simbolo della città, anche Caterina a San Nicolò è di rara bellezza. Il suo dolcissimo volto è messo in risalto da un’elegante acconciatura con aristocratica corona. La ricca e raffinata veste è bipartita in rosso e verde mentre un prezioso mantello giallo-oro si appoggia sulle spalle.
Caterina appare quasi sospesa, circondata, nella parte superiore, da quattro angeli in volo che danno vita allo Spazio Celeste. La coppia di angeli del registro superiore sostiene sopra il capo della Santa un’altra importante corona legata alla simbologia religiosa.
Ai piedi è inginocchiato un piccolo domenicano in preghiera, con pergamena, forse un donatore. Lo strato d’intonaco di questa porzione è coevo ma superiore rispetto alla composizione generale, un vero e proprio “palinsesto” ovvero intonaco o affresco, su cui sono stati sovrapposti strati successivi di pittura. La cornice perimetrale è composita e simula un articolato intarsio marmoreo.
L’opera risale alla seconda metà del XIV° secolo. Vi sono pareri discordanti sulla sua attribuzione. Secondo Luigi Coletti, l’autore è un seguace di Tomaso da Modena; per Robert Gibbs, si tratterebbe invece opera di un maestro emiliano; Giorgio Fossaluzza avvalla teorie precedenti che riscontrano alcune analogie stilistiche di questo dipinto con il ciclo di S. Orsola a Vigo di Cadore, ad opera dello stesso maestro attivo nella chiesa di Santa Maria Nova a Soligo. Al Maestro di Vigo, quindi, l’attribuzione più recente.
La tecnica esecutiva può essere definita a “buon fresco”, i pigmenti sono stati stemperati in acqua e latte di calce che rende le pennellate corpose e piene e successivamente stesi direttamente su intonaco fresco. L’intonachino pittorico è ben lavorato, si distinguono visibilmente i segni di lamatura e i tocchi materici che rendono mosso e il substrato pittorico, soprattutto nell’area perimetrale della cornice geometrica.
L’esecuzione di questo affresco è complessa: si leggono in maniera più o meno distinta ben otto ‘giornate’ che compongono la scena, poi si aggiunge lo strato superiore del piccolo palinsesto che ne completa la composizione. Coesistono vari metodi di trasporto del disegno preparatorio: è facilmente riconoscibile in alcuni tratti la ‘battitura del filo’, per disegnare alcune linee orizzontali e verticali che costruivano le complesse cornici perimetrali, a volte completate ad incisione.
Il motivo geometrico a finto marmo è disegnato con un sottile strumento a punta dolce. Gli eleganti moduli esagonali che decorano le fasce sono caratterizzati quindi da incisione indiretta, utilizzata per impostare la cadenza ritmica del modulo da riprodurre. Le aureole degli angeli e di Santa Caterina sono realizzate con incisione diretta che denota la probabile presenza di finiture di pregio. Nel particolare della corona che decora il capo di Santa Caterina sono presenti frammenti di lamina dorata che caratterizzano la preziosità e la raffinatezza d’esecuzione.
Dopo le analisi diagnostiche, curate dalla dott.ssa Roberta Giacometti, ho iniziato il lavoro di restauro. L’affresco si presentava in cattivo stato di conservazione: alcune porzioni di superficie pittorica erano perdute per sempre e un importante fenomeno di caduta del colore caratterizzava ampie zone della parte degli angeli e del fondo azzurro. Inoltre l’intera superficie era caratterizzata da piccole e medie lacune diffuse. Nella fascia inferiore erano evidenti caratteristiche incisioni vandaliche con alcune iscrizioni e un’area macchiata ed intaccata da residui di cera e nerofumo, una forma di degrado che caratterizza quasi tutte le colonne del Tempio di S. Nicolò data la vicinanza accertata già dai primissimi anni del Novecento di alte candelabre poste ai lati di ciascuna colonna. Elementi di degrado risultavano ormai le importanti porzioni ricostruite ad affresco con l’utilizzo di leganti organici, porzioni ormai brunite dall’ossidazione del legante, uovo o caseina, utilizzato per la stesura dei colori, secondo le modalità di intervento dei restauratori Botter. Il meraviglioso panneggio a ricche pieghe del mantello era disturbato dalle numerose stuccature alterate che si discostavano per colore, granulometria e aspetto dalla matericità del substrato originale. Complessivamente l’opera appariva poco definita e visivamente disordinata.
Una attenta analisi visiva, la verifica dello stato generale dell’intera superficie pittorica e il fissaggio dei frammenti e delle piccole porzioni che si trovavano in fase di collasso, hanno caratterizzato la prima fase del lavoro. Dopo l’analisi diagnostica e i test di pulitura è stato possibile stabilire la metodologia d’intervento più corretta. La delicata pulitura con reagente blando supportato da carta giapponese ha lavorato in maniera corticale sulla superficie e ha permesso di operare con tempi di contatto brevi rispettando la sottile materia della campitura cromatica sottostante. Questa metodologia ha permesso un approccio delicato e rispettoso del substrato antico. Una volta rigonfiato e sciolto lo strato compatto di polvere e i ritocchi ossidati del precedente restauro, la superficie è stata massaggiata con pennelli morbidi e acqua deionizzata per rimuovere delicatamente i residui di sporco in dispersione. Ho proceduto poi con la rimozione meccanica controllata delle stuccature e delle sigillature ormai inidonee eseguite nel precedente intervento di restauro. Lo scopo è stato quello di eliminare materiali che per composizione, conformazione o localizzazione possono costituire nuova causa di degrado.
La fase di consolidamento ha ricostruito una nuova compattezza tra i livelli interni d’intonaco e il supporto murario ristabilendo una solida coesione tra essi. Ho poi proceduto con la stuccatura finale con un nuovo impasto naturale di calce, polvere di marmo Botticino e sabbia fine di fiume.
Il ritocco all’affresco, che ho concordato con la competente Soprintendenza, ha dato organicità all’impianto decorativo, facendo convivere il tessuto pittorico trecentesco con i rifacimenti storicizzati del precedente restauro. Ora Caterina d’Alessandria ha riacquistato bellezza e maestosità; la solenne compostezza della santa continua, nel sentire comune, a proteggere la città di Treviso.
Il restauro di Santa Caterina d’Alessandria è stato sostenuto dalla famiglia Bisetto e dedicato alla nipote, Asia Bisetto.