Progetto di restauro Le colonne di San Nicolò. L’affresco della Madonna del parto e S. Tommaso d’Aquino
L’affresco della Madonna del parto e San Tommaso d’Aquino, del XIV secolo, è il secondo intervento del progetto di restauro delle colonne di San Nicolò a Treviso, dopo l’Arcangelo Michele che combatte Satana.
É il più grande e visibile, perché rivolto al fedele che procede lungo la navata della chiesa, dei due affreschi dell’impianto iconografico della seconda colonna a destra. La scena sacra è costruita e animata attorno alle due figure protagoniste che occupano lo spazio compositivo quasi totalmente.
L’insieme della raffigurazione può inserirsi iconologicamente nella tipologia denominata “Madonna del Parto”, dove Maria ostenta la sua gravidanza non solo nella gestualità ma anche grazie ai panneggi e alle scelte compositive relative alla sua posizione. Dal punto di vista iconologico era una soluzione difficile da rappresentare perché significava individuare la Vergine in una sorta di incompletezza e solitudine (le manca il bambino in braccio) rispetto alla tradizione. Nelle Sacre Scritture Maria è sempre accompagnata, è una “presenza che apre” e si apre verso gli altri. Sono infatti molto rare le rappresentazioni popolari della Vergine da sola, anche quando non vi è ancora il Bambino, un Santo la affianca o un volo di angeli, come in questa composizione, dove è accompagnata da San Tomaso.
Maria è rappresentata in una tunica rosata, ampia sotto il seno, che evidenzia il suo stato di gravidanza. Le spalle sono coperte da un ricco mantello grigio – azzurro che le ricade morbidamente sulle gambe; è quasi abbandonata su un avvolgente ed elegante trono con colonnine in marmo. Il suo dolcissimo volto, quasi assorto, è arricchito da un’elegante acconciatura raccolta; un velo trasparente e prezioso le ricade sulla fronte incorniciandole lo sguardo attento, rivolto allo spettatore.
A fianco a lei, ritto in piedi su fondo azzurro, San Tommaso d’Aquino, vestito del caratteristico saio domenicano, sostiene un grande libro aperto tra le mani, del quale si distinguono ancora delicati caratteri.
La cornice perimetrale, pulita ed essenziale, è composta da quattro fasce lineari, di color ocra la più vicina e, a contornare il tutto, due bande rosse più spesse che all’interno ne racchiudono una bianca.
È probabilmente opera di un maestro emiliano che la realizzò intorno al 1352 – 1355 a “buon fresco”, stemperando nel latte di calce i pigmenti per rendere più corpose e piene le pennellate, stendendole direttamente su intonaco fresco.
L’affresco è realizzato in poche porzioni: si leggono in maniera più o meno distinta quattro ‘giornate’ che compongono l’intera scena. In quest’opera coesistono vari metodi di trasporto del disegno preparatorio: la ‘battitura del filo’, utilizzata per disegnare linee orizzontali e verticali; l’incisione diretta descrive le aureole ed ancora alcuni bordi di attacco o il limite delle ‘giornate’ lungo il profilo della figura della Madonna; alcuni particolari evidenziano l’incisione a punta dolce che descrive la bordatura del manto della veste della Madonna e alcuni profili della cornice perimetrale ocra. Il manto in alcune parti sembra suggerire la presenza di un motivo a stampigliatura nei toni dell’azzurro. Le aureole sono realizzate con incisione diretta, che denota la probabile presenza di finiture di pregio, si evidenziano infatti dei frammenti di lamina dorata nella raggera incisa di San Tommaso d’ Aquino.
Questo affresco è stato concepito ed eseguito con estrema accuratezza e maestria. Si tratta di un’opera importante sia sul piano iconografico che tecnico, con finiture preziose in stampigliatura e lamina metallica – per la maggior parte scomparse – ma che ancora si leggono nonostante l’incuria del tempo. Sono tuttora in grado di esaltare la superficie affrescata, facendo immaginare l’originaria sontuosità di questa scena.
L’affresco era stato restaurato nella prima metà del ‘900 da Mario Botter, padre del restauratore Memi, che si occupò dell’intervento successivo sull’opera nel 1988.
Prima del restauro la superficie affrescata si presentava in cattivo stato di conservazione: alcune porzioni limitate di superficie pittorica sono state perse per sempre: si notava un importante fenomeno di caduta del colore che caratterizzava la metà inferiore della superficie pittorica; sul substrato erano presenti piccole e medie lacune diffuse; nella zona centrale della fascia inferiore si evidenziava una vistosa area macchiata ed intaccata da residui di cera e nerofumo, forma di degrado che contraddistingue quasi tutte le colonne del Tempio di S. Nicolò, data la vicinanza accertata già dai primissimi anni del Novecento con alte candelabre poste ai lati di ciascuna colonna. Il substrato pittorico aveva un aspetto offuscato, scurito anche dai ritocchi ormai imbruniti e ossidati rendevano la superficie visivamente disordinata.
Ad un attento esame a luce radente, oltre alla presenza di cera e nerofumo, si nota una spessa e cornea patina superficiale, un film corposo e lucido, presente in modo corposo su tutta la superficie inferiore. Superiormente questo strato bruno e untuoso sembra essere meno visibile o presente in spessore più sottile e meno riconoscibile ad occhio nudo.
Lo studio della superficie dell’opera e le analisi diagnostiche, effettuate dalla Dott. Chim. Ir. Roberta Giacometti, hanno determinato con certezza la natura, la successione e lo spessore delle sostanze soprammesse alla superficie pittorica antica e mi hanno permesso di stabilire la metodologia più corretta nella delicata fase di pulitura dell’affresco con un approccio selettivo e rispettoso del substrato antico.
La pulitura dell’affresco ha messo in luce la discrepanza cromatica tra le importanti stuccature alterate sottolivello, integrate a rigatino corto che segue l’andamento dei volumi e ritocchi ossidati in tutta la superficie affrescata, dei precedenti restauri e la superficie pittorica che aveva riacquistato una nuova luminosità.
E’ stata perciò necessaria una rimozione meccanica controllata delle grandi stuccature sottolivello realizzate nel restauro precedente (1988), per permettere di realizzare un nuovo impasto d’integrazione, questa volta a livello, con caratteristiche materiche più simili all’intonachino pittorico originale.
Il ritocco pittorico è stato eseguito ad acquerello su indicazione della competente Soprintendenza; le stuccature sono state trattate a rigatino con lo scopo di accompagnare e far convivere il tessuto pittorico trecentesco con i nuovi rifacimenti ma in modo riconoscibile e rispettoso.
Il restauro è stato realizzato grazie a Rotary Club Treviso con Ateneo di Treviso.